In Sardegna, il sistema sanitario è in allarme. I medici di base hanno fermato le loro attività per due giorni, esprimendo il loro disagio per la crescente negligenza della Regione e per i mali persistenti nel settore. L’aspetto che più preoccupa? I lunghi tempi d’attesa per le visite. Questi ritardi spingono molti pazienti a girarsi verso i pronto soccorsi, già sovraccarichi, o a dover pagare di tasca propria, nonostante tutti paghino le tasse e debbano avere diritto a cure di qualità.
L’adesione al movimento di sciopero è stata massiccia. Circa il 70% dei medici ha deciso di aderire, stando ai dati forniti dal sindacato dei medici italiani. Luciano Congiu, portavoce regionale, ha chiarito le ragioni dello sciopero: una lotta per condizioni lavorative migliori, salari più equi e per fermare l’erosione del servizio sanitario pubblico.
Gli effetti dello sciopero? Sentiti in ogni angolo della Sardegna. Molte persone hanno dovuto posticipare visite e altre procedure. Gianfranco Steri, uno dei medici di base, ha avvisato che sebbene le attività regolari vengano sospese, le emergenze continueranno a ricevere attenzione. Steri ha poi espresso forte critica verso l’attuale sistema, in particolare riguardo ai tempi d’attesa ingiustificabili e all’ingombrante carico burocratico.
Claudia Zuncheddu, al comando della Rete sarda per la difesa della sanità pubblica, ha sottolineato l’importanza di affrontare la carenza di medici di base. Ha rilevato che il vero problema non si risolve semplicemente aumentando il numero di pazienti per medico o optando per servizi privati. Bisogna affrontare le radici: condizioni lavorative sfidanti, stipendi non all’altezza e troppa burocrazia. Solo affrontando questi temi, secondo Zuncheddu, si potrà realmente risolvere la crisi sanitaria in Sardegna.