Un silenzio composto e una comunità raccolta hanno accompagnato l’ultimo saluto a Graziano Mesina, nella sua Orgosolo. Il funerale si è svolto nella chiesa di San Pietro, gremita da concittadini, amici e conoscenti, accorsi per rendere omaggio all’83enne morto a Milano, dove si trovava ricoverato all’ospedale San Paolo dopo la scarcerazione.
La funzione religiosa è stata officiata dal parroco don Salvatore Goddi, che nell’omelia ha affidato parole sobrie ma cariche di significato: «Davanti al nostro caro fratello vogliamo che il Signore apra le sue braccia e lo accolga nella sua misericordia», ha detto, rivolgendosi alla comunità presente e ai familiari. Concelebravano anche altri sacerdoti di origine orgolese, testimoniando il legame forte tra Mesina e il suo paese natale, nonostante la vita controversa e segnata da vicende giudiziarie.
Sulla bara in legno chiaro, posata al centro della navata, una composizione di rose rosse e, accanto, la maglia del Cagliari Calcio, simbolo del profondo attaccamento dell’ex bandito alla sua terra e alla sua squadra del cuore.
L’atmosfera nella chiesa è stata intima e rispettosa, in linea con quanto richiesto dalla famiglia: vietate foto e riprese video, come segnalavano chiaramente i cartelli posti all’ingresso. Una scelta volta a mantenere il tono riservato della cerimonia, lontano da ogni spettacolarizzazione.
Graziano Mesina, noto come “Grazianeddu”, era considerato una delle figure più emblematiche e discusse del banditismo sardo. Protagonista di numerose evasioni e processi, negli ultimi anni era tornato agli onori della cronaca per accuse legate al traffico di stupefacenti. La sua morte ha chiuso un capitolo controverso della storia sarda contemporanea, ma il funerale ha rappresentato un momento di raccoglimento, più che di giudizio, nel paese che lo aveva visto nascere.