La presidente della Regione Sardegna, Alessandra Todde, difende la scelta di procedere con le nuove nomine dei commissari delle aziende sanitarie e, a margine delle celebrazioni di Sa Die de Sa Sardigna, prova a gettare acqua sul fuoco delle polemiche interne alla maggioranza. «Rispetto la posizione del Partito Democratico – ha dichiarato Todde – ma i sardi meritavano un segnale di discontinuità».
La frattura si è consumata dopo che il Pd ha disertato la riunione di maggioranza dove sono stati ufficializzati gli incarichi, protestando per la mancata condivisione delle scelte. Todde ha però minimizzato: «Non c’è nessuna crisi, differenze di opinione non significano divergenze insanabili», ribadendo la volontà di mantenere unita la coalizione e di rispettare i tempi imposti dalla nuova normativa sanitaria per evitare rischi di impugnazione.
Il presidente del Consiglio regionale, Piero Comandini (Pd), ha sottolineato la necessità di rispettare tutte le componenti della coalizione: «Non c’è una crisi politica, ma il metodo deve cambiare per garantire coesione». Più critico Francesco Agus, capogruppo dei Progressisti, che ha invitato a una seria riflessione sul metodo di gestione della coalizione: «Ignorare le ragioni del Pd sarebbe un errore. Servono dialogo e coinvolgimento reale», specie in un settore cruciale come quello della sanità.
Intanto, dalla minoranza arrivano attacchi durissimi. Emanuele Cera di Fratelli d’Italia ha parlato di «umiliazione continua per il Pd», accusando il centrosinistra di incoerenza e fame di poltrone. Paolo Truzzu, capogruppo di FdI, ha definito la riforma sanitaria «un topolino», criticando la fretta nel commissariare le aziende e prevedendo rischi di impugnazioni e caos nel sistema sanitario.
Todde, tuttavia, ribadisce la linea: «Siamo chiamati a costruire un sistema sanitario serio ed efficace. Con unità, orgoglio e dialogo possiamo raggiungere gli obiettivi che i cittadini si aspettano da noi». Il banco di prova sarà ora l’applicazione della riforma e la capacità di ricompattare una maggioranza che, seppur divisa sul metodo, è chiamata a governare ancora per quattro anni.