Da oltre tre settimane, Paolo Todde, è in sciopero della fame all’interno del carcere di Uta, dove si trova in detenzione cautelare con l’accusa di aver partecipato a una rapina avvenuta nel 2023 a Sestu. L’iniziativa, avviata l’8 maggio, si inserisce in una più ampia mobilitazione collettiva, promossa da numerosi detenuti per denunciare le gravi criticità del sistema penitenziario locale.
Un documento firmato da 150 reclusi è stato presentato al Tribunale di Sorveglianza, descrivendo nel dettaglio una situazione che viene definita “insostenibile”. I firmatari lamentano il sovraffollamento cronico delle celle, la scarsa qualità dell’acqua, l’insufficienza di servizi basilari come l’accesso alla biblioteca e ai campi da calcetto, e soprattutto la mancanza di un’assistenza sanitaria adeguata. A questo si aggiunge l’assenza di una figura garante per i detenuti, che rappresenti i loro diritti e ne tuteli le condizioni di vita.
Secondo quanto riportato nel documento, il carcere di Uta si troverebbe in una condizione di tensione permanente, in cui gli episodi di violenza interna sarebbero frequenti e dove le richieste dei detenuti restano spesso inascoltate. In tale contesto, lo sciopero della fame promosso da Todde assume un significato simbolico e politico: non soltanto una forma estrema di protesta personale, ma una denuncia collettiva contro il degrado strutturale e l’abbandono istituzionale.
La mobilitazione ha trovato eco anche all’esterno del carcere. Per lunedì 9 giugno alle ore 18:30 è stato organizzato un presidio in piazza Costituzione a Cagliari da parte di gruppi anarchici e solidali, che chiedono maggiore attenzione da parte delle autorità competenti sulle condizioni detentive nella casa circondariale sarda.
In attesa, Todde continua a rifiutare il cibo come atto di protesta. Intanto, la mobilitazione all’interno del carcere prosegue e si rafforza con l’adesione di altri detenuti, trasformando un gesto individuale in un’azione collettiva di denuncia.